venerdì 24 ottobre 2014

Lo psicologo dello sport , migliorare le condizioni generali del clima all’interno della sua squadra

Migliorare le condizioni generali del clima all’interno della sua squadra
Matteo SIMONE
Psicologo dello sport, Psicoterapeuta
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Lo psicologo deve valutare il contesto dove andrà ad operare e sapere: cosa trova, chi trova, con chi opera, di cosa ha bisogno, quali problemi potrebbe avere.
Alleanza: affinchè si faccia un buon lavoro è necessario:
  • stabilire una sorta di alleanza sia con gli atleti che con l’intero staff;
  • la presenza di un clima di fiducia e di collaborazione reciproca con l’atleta e con le varie figure dell’équipe;
  • coinvolgere anche l’allenatore, il preparatore atletico e gli altri professionisti.

Un buon approccio contempla i seguenti elementi: attenzione, partecipazione reciproca, focalizzazione, esclusività del rapporto, cercare risorse, adattarsi al soggetto, potere dell’osservazione.
Ognuno di essi si costruisce anche negli incontri attraverso: attenzione, sguardo, disponibilità, immediata presenza.
Tailoring = terapia su misura: dopo un’attenta analisi della domanda, si personalizzerà il progetto di lavoro in base alla personalità del cliente, alle sue specifiche esigenze, ai suoi obiettivi ed alle sue richieste.
Obiettivo finale: miglioramento di particolari aspetti mentali che possono determinare un incremento delle prestazioni in campo e fuori dal campo.

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Metodiche di lavoro: colloqui informali, incontri individuali, osservazioni sul campo.
I colloqui informali rivolti alle figure professionali che gravitano attorno all’atleta: dirigente, direttore tecnico, staff medico e fisioterapico, preparatore atletico, allenatore.
Attraverso i colloqui informali si ha modo di presentarsi, di illustrare le proprie competenze nel campo della Psicologia dello Sport, nonché rendere note le modalità di lavoro.
Attraverso gli incontri individuali si ha modo di raccogliere esigenze, difficoltà, problematiche, si instaura una relazione basata sulla reciproca fiducia e tesa a permettere: ascolto empatico, l’espressione delle difficoltà, supporto psicologico. Attraverso i colloqui l’atleta e lo psicologo vivono uno spazio ed un tempo loro, riservato, esclusivo, derivato dal fidarsi da parte dell’atleta e dall’interesse dello psicologo a mettere se stesso e la sua professionalità a disposizione dell’atleta. Si tratta di incontrare l’altro che ha una esigenza, una difficoltà, un problema, stabilire un contatto reciproco in modo da interessarsi principalmente a lui senza giudizio e con empatia. Cercare di stabilire una relazione che possa portarlo ad una maggiore autoconsapevolezza, ad una visione più ampia di se stesso e degli altri, del suo mondo e di quello che lo circonda. Questo attraverso un’attenzione costante all’altro ed un lavoro basato sulla responsabilità ed una motivazione reciproca.
Attraverso le osservazioni sul campo si ha modo di cogliere: le dinamiche tra atleti ed allenatori; le modalità di feedback da parte degli allenatori; le reazioni degli atleti ad allenamenti faticosi o dolorosi.

img_management_sportLo sportivo non è solo, è affiancato dall’allenatore che dovrebbe conoscere le sue potenzialità, i suoi punti di forza e di debolezza, dovrebbe costruire con lui un progetto di obiettivi raggiungibili, stimolanti, da rivalutare all’occasione, dare feedback adeguati, spiegare le sedute di allenamento, l’importanza del gesto sportivo, il significato, raccontare aneddoti, far parte della storia sportiva dell’atleta, condividere momenti di gioia e sofferenza, di vincite e di sconfitte, essere disposto ad ammettere di aver fatto un errore, di aver preteso, di aver sottovalutato, di non aver considerato.
I famigliari contribuiscono al benessere o al malessere dell’atleta, durante il percorso sportivo l’atleta ha necessità di prendere decisioni sul proseguo della sua carriera sportiva, ha bisogno di proiettarsi sul futuro per immaginare quello che potrà essere, diventare, fare se dovrà abdicare dal mondo sportivo per motivi vari, esempio, infortunio, calo motivazione, impegni di allenamento diventati gravosi.
L’allenatore può intervenire sull’autoefficacia attraverso la programmazione di sedute di allenamento che favoriscano esperienze di superamento graduale e progressivo degli ostacoli e delle difficoltà. Deve conoscere le abilità dei propri atleti e con questa conoscenza costruire un programma di preparazione che si basi su obiettivi concreti e reali. Fissare obiettivi limitati, raggiungibili e progressivamente più ambiziosi è uno dei modi migliori per aumentare l’autoefficacia dell’atleta.

8Lo psicologo può osservare l’atleta durante l’allenamento e l’interazione con l’allenatore o compagni di allenamento per cogliere aspetti quali la mimica facciale, i gesti, le interazioni con allenatore o compagni di allenamento che servono ad una maggior conoscenza della persona che vuol aiutare ed avere anche colloqui informali con le altre figure che gravitano intorno all’atleta quali allenatori, dirigenza, staff medico, famigliari, ecc., per supportare i loro vissuti che possono essere di colpa, di impotenza, di insoddisfazione, ecc., ed un loro star meglio potrebbe sicuramente influire positivamente sulla prestazione dello sportivo.
Compito del tecnico è dare un obiettivo all’atleta che sia impegnativo e nel contempo raggiungibile. L’identificazione degli obiettivi è uno dei punti chiave per stimolare la motivazione e migliorare le prestazioni.
Requisiti e qualità fondamentali dell’allenatore sono considerati: la passione, la capacità di relazionarsi, di avere una personalità equilibrata, una sufficiente autostima e di essere propensi all’ascolto.
HSNationals_CoachCheeringCome dovrebbe comportarsi un bravo allenatore? Sicuramente dovrebbe manifestare interessamento e vicinanza, apprezzamento, fiducia e incoraggiamento, aiuto per risolvere le difficoltà, concorrere alla formazione di un buon senso di auto-efficacia e di autostima.
Un bravo allenatore dovrebbe: arrivare all’allenamento carico di entusiasmo; trasmettere sicurezza, affetto, accoglienza, serenità; essere munito di enorme pazienza; non dovrebbe rimproverare ma, al contrario, incoraggiare e motivare e rinforzare i comportamenti positivi.
E’una figura sbagliata quando: ha bisogno di far vedere chi è che comanda; possiede tutte le idee e le soluzioni e rifiuta quelle degli atleti perché ha paura che intacchino la sua autorità.
Quali sono gli allenatori preferiti: quelli che trasmettono sensazioni positive, rinforzano la prestazione, incoraggiano dopo un errore, danno indicazioni tecniche dopo un errore, sono organizzati, preparati e competenti, utilizzano uno stile autorevole (né autoritario né del lasciar fare).
E’ importante sottolineare i comportamenti positivi con i rinforzi come la propria approvazione: “Bravo”, “Bene” e valorizzare ogni progresso per aumentare l’autostima.
L’Automonitoraggio del tecnico: tenere un diario nel quale annotare le proprie riflessioni sugli allenamenti, risulterà un valido strumento per trattenere per iscritto quanto è stato svolto.
Dopo ogni seduta di allenamento: come l’ho programmata? Gli obiettivi sono stati raggiunti? Come erano i miei presupposti personali (serenità, voglia di allenare) prima di iniziare? Che cosa mi ha messo in difficoltà? Come ho affrontato i problemi che si sono presentati? Quanto positivi sono stati i miei interventi? Quanto ho contribuito al miglioramento della vita di gruppo e dei rapporti interpersonali?
L’allenatore ha una grande importanza nello sviluppare le motivazioni giuste: graduando le prove con le quali l’atleta deve cimentarsi, trovare le ragioni convincenti per mettere l’atleta ogni volta alla prova, negoziando il raggiungimento di mete sufficientemente (ma non esageratamente) difficili, monitorando i progressi dell’atleta, insegnando a trarre lezioni dagli insuccessi.
Allenatore = Leader: è colui che guida gli individui e il gruppo da essi composto fino al raggiungimento degli obiettivi. Deve dimostrare non solo di essere dotato di una serie di competenze tecniche e tattiche, ma anche di saper gestire lo stress causato da situazioni a volte difficili da gestire.
“Allenare è guidare insieme persone con diverse esperienze, talenti, interessi, incoraggiandole ad assumere la responsabilità del loro ruolo, portandole ad un continuo miglioramento…”
(Tom Peters e Nancy Austin)
Per essere un buon allenatore è importante sviluppare abilità relazionali.
Il leader è capace di influenzare gli altri, di far sì che le sue superiori conoscenze vengano riconosciute.
L’allenatore è il punto di riferimento, è lui che prende le decisioni, che si assume le responsabilità di eventuali errori, risponde dei risultati conseguiti: quando una stagione sta andando male, il primo a pagare è il mister che viene esonerato.

10452Essere leader formalmente non basta. Dovrebbero essere gli atleti a riconoscergli tale autorità. Il primo passo da compiere allora sarà proprio cercare di conquistarsi la stima ed il rispetto dei suoi atleti.
Senza una forte coesione ed una totale collaborazione tra i membri della squadra, non si potrà mai ottenere alcun risultato importante.
Rapportarsi a giocatori professionisti o a ragazzi che coltivano lo sport in quanto hobby è sicuramente diverso.
E’ fondamentale che l’allenatore analizzi con la massima obiettività le prestazioni fornite dai singoli e dal gruppo, senza dimostrare di avere preferenze o al contrario antipatie personali per qualcuno.
Il mister non è solo colui che insegna; affinché egli possa rimanere sempre aggiornato e in costante progresso deve avere la voglia di apprendere. Essere consapevoli del fatto che c’è sempre qualcosa da imparare da ogni persona e da ogni situazione è il punto di partenza per chi vuole toccare l’eccellenza.
L’allenatore nel guidare la sua squadra ha a che fare con caratteri diversi e si trova a contatto con situazioni differenti da gestire. Non sempre può adottare il medesimo comportamento e neppure rapportarsi a tutti con lo stesso tipo di comunicazione.
L’allenatore autoritario punta solo alla vittoria, che viene prima di qualunque altra cosa e che è l’unico obiettivo di cui tenere conto; non ha alcuna importanza comprendere quale possa essere la psicologia dei suoi atleti, quali le loro motivazioni; preferisce atleti mossi da spinte estrinseche perché più facilmente manipolabili. L’allenatore autoritario crede che il suo compito si esaurisca nel far vincere la sua squadra; creare un atleta vincente per chi adotta questo approccio significa solo curare l’ambito sportivo.
Il leader autoritario adotta uno stile centrato sulla vittoria, esercitando il proprio comando sui suoi atleti e orientandoli unicamente al raggiungimento del risultato richiesto.
L’allenatore collaborativo cerca di capire i suoi atleti, di conoscere i loro processi psicologici e le loro motivazioni; per questo motivo predilige giocatori intrinsecamente motivati, perché ha più fiducia nella loro volontà di migliorarsi al fine di ottenere l’obiettivo. Sua caratteristica fondamentale sapersi mettere in discussione, potendo così modificare in corsa alcuni atteggiamenti, sia personali che tecnico-tattici, se si rende conto di aver commesso degli errori.
Il leader democratico “collaborativo” si concentra prima di tutto sull’atleta, le sue motivazioni ed i suoi bisogni, adotta uno stile cooperativo nella gestione della vita della squadra ed è orientato prima di tutto all’individuo.
Un tratto della personalità particolarmente dal quale non si può prescindere se si deve guidare un gruppo è l’empatia: la capacità di assumere come proprio il punto di vista di altri individui, per capire come ognuno percepisce e vive eventi ed emozioni; è quella risorsa alla quale l’allenatore può attingere per comprendere interessi e bisogni dei suoi atleti.
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Bibliografia
Simone M., Psicologia dello sport e dell’esercizio fisico. Dal benessere alla prestazione ottimale, Sogno Edizioni, 2013.
Simone M., O.R.A. Obiettivi, Risorse, Autoefficacia. Modello di intervento per raggiungere obiettivi nella vita e nello sport, Edizioni ARAS, Fano, 2013.









Matteo SIMONE
Psicologo dello sport, Psicoterapeuta
21163@tiscali.it 3804337230
www.psicologiadellosport.net

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