Roberto Naranzi
Il mondo del running ha confini sempre più ampi e proiettati all’orizzonte, sia per i risultati conseguiti dagli atleti di alto livello, sia per l’estensione ad ogni fascia d’età e ad ogni livello sociale, e infine per la tipologia di percorso.
E’ corsa la gara su pista ed è corsa la gara in montagna, tuttavia le sensazioni sono assolutamente differenti e ci si sente di cimentarsi con un altro sport.
Numerosi sono i fattori che creano questo importante divario.
Ovviamente, più variabili si considerano e affrontano in allenamento, maggiori sono le possibilità di gestire la gara.
Senza avere l’ambizione di essere esaustivo, senza voler essere puramente tecnico, mi limito al racconto di sensazioni esperenziali.
Per quanto riguarda il percorso la corsa in montagna può essere estremamente variabile.
Dislivello : quantità globale e com’è distribuito nel percorso. E’ fondamentale valutare la differenza altimetrica complessiva e prepararsi ad affrontarla. Quando superiore ai 600 m circa è opportuno preparare un allenamento mirato. Il dislivello complessivo può tuttavia essere di impegno differente a seconda di come è distribuito lungo il percorso. Può essere compiuto attraverso un percorso articolato in tratti in salita alternati a tratti in discesa, oppure potrebbe essere in gran parte costituito da un’unica lunga salita. Questo tipo di percorso è ovviamente più impegnativo. Altro fattore importante è la pendenza. Non in tutti i tipi di pendenza è opportuno correre. In tratti molto ripidi (>15%) il dispendio energetico investito nel gesto della corsa non è giustificato dal ritmo e potrebbe essere conveniente camminare.
Per sostenere la salita è importante la VAM. Sarebbe ottimale terminare il tratto in salita in una condizione generale tale da poter riprendere un buon ritmo di corsa nei tratti in cui il percorso lo consente.
Particolarità della salita in montagna sono le irregolarità del terreno, che fa sì che non tutti i passi siano uguali e che l’altezza dei gradini naturali obblighi l’atleta ad un’elevazione del ginocchio al di sopra dell’ abituale livello che si raggiunge nella corsa circolare su strada.
Vi possono inoltre essere terreni sdrucciolevoli, di ghiaia irregolare che trascina indietro il piede d’appoggio nel momento della spinta al suolo, riportando il corpo indietro di alcuni centimetri per ogni passo.
Sono state proposte diverse tecniche di allenamento in salita (salita lenta prolungata, in progressione, fartlek, ripetute, scale, alternanza corsa-‐camminata in salita), che è opportuno alternare, per prepararsi ad una gara estremamente variabile che ci farà cimentare con differenti tipologie di difficoltà.
La parte più difficile del percorso è tuttavia la discesa. La discesa impegna significativamente la muscolatura anteriore della coscia. Infatti le contrazioni eccentriche sono quelle che provocano rabdomiolisi, ovvero parziale lesione delle fibre muscolari per eccessiva trazione delle stesse rispetto alla loro elasticità. Durante tutto il percorso la muscolatura resta in tensione. Sui terreni scivolosi è opportuno
mantenere basso il baricentro ed utilizzare l’appoggio dell’intera pianta del piede. Laddove il terreno sia morbido e non scivoloso (pratoni) è possibile utilizzare anche dei balzelli con salti con appoggio bipodalico trasversale rispetto alla pendenza alternando la lateralità.
Si deve infatti considerare che l’arto a monte sarà in posizione superiore rispetto all’arto a valle ed il carico pertanto non è uniformemente distribuito, risulta pertanto opportuno alternare il lato. La discesa è la fase del percorso più tecnica e maggiormente a rischio di infortuni. Infatti, la maggior parte degli atleti allena la contrazione concentrica rispetto a quella eccentrica con sviluppo di un’asimmetria della masse muscolari antagoniste che concorre a favorire l’insorgenza di infortuni. Non a caso la maggior parte degli infortuni si verifica a carico della muscolatura posteriore di coscia.
La variabilità del terreno a seconda dell’umidità non è un elemento da sottovalutare. Infatti, sebbene in montagna sia difficile trovare tratti fangosi, a differenza della corsa campestre, tuttavia tratti di terriccio bagnato possono risultare estremamente impegnativi se ripidi, sia in salita che soprattutto in discesa. Risultano infatti scivolosi e talora non consentono un buon gripping delle scarpe al terreno anche nei tratti successivi per livellamento della suola a causa dell’aderenza di uno strato di terra bagnata.
Se ai fini della qualità del terreno è preferibile il caldo secco, tuttavia questo può essere svantaggioso per la gestione globale della competizione. E’ infatti da considerare la notevole disidratazione che si verifica durante una competizione impegnativa, laddove lungo il percorso non sia agevole collocare e quindi fruire dei punti ristoro. Questo è tanto più vero se la giornata è soleggiata. Ricordo ai meno montanari che il sole in quota è temibile ed è raccomandata una protezione del capo con cappellini per evitare colpi di calore e della pelle con creme protettive da raggi ultravioletti.
Il vento è un elemento sempre poco gradito ai runners. E’ noto l’aggravio di fatica muscolare nella corsa con vento contrario. In montagna il vento può essere più violento di quanto non ci si aspetti nelle competizioni si strada. Oltre all’aumento della resistenza dell’aria in caso di vento contrario, altro effetto sgradevole e forse maggiormente rilevante è l’effetto sull’equilibrio quando ci si trovi su sentieri stretti e magari esposti.
Tratti esposti in cui è possibile scivolare per quale metro non sono infrequenti. A tal proposito un’ulteriore elemento da introdurre è l’effetto del vuoto. Se si soffre di vertigini possono incontrarsi difficoltà in percorsi che includano tratti ripidi o anche tratti piani ma esposti.
La variabilità metereologica in montagna è maggiore e dobbiamo ipotizzare possibili repentine variazioni di temperatura e umidità. Questa variabilità deve essere considerata nel momento in cui scegliamo l’abbigliamento e l’equipaggiamento, il più leggero ed essenziale possibile, ma non a discapito della sicurezza. E’ sempre raccomandabile portare un K-‐way, per ripararsi dalla eventuale pioggia, ma anche dal vento: è sicuramente sconsigliabile esporsi al vento dopo aver sudato. Inoltre il k-‐way è un indumento leggero, ma che può anche mantenere il calore qualora la temperatura dovesse bruscamente abbassarsi.
E’ importante allenare l’occhio alla segnaletica del percorso ed allertare il proprio senso
dell’orientamento, infatti la visibilità potrebbe a tratti essere ridotta da nuvole e foschia.
Oltre al satellitare, per avere un’idea del percorso, è d’aiuto trovare dei punti di riferimento, vette di
monti all’orizzonte, pareti rocciose, rifugi.
Una caratteristica peculiare di questo tipo di corsa è la necessità di controllare il terreno dove si poggia il piede. Contemporaneamente occorre guardare il percorso e poi ancora guardare dritto davanti a noi per evitare rami, rovi ad altezza viso. Questo continuo cambiamento del fuoco di visualizzazione stressa ulteriormente il sistema dell’equilibrio che durante tutta la gara già è continuamente sollecitato ad adattare il corpo a nuove posizioni e nuovi inconsueti appoggi del piede. E’ utile stimolare il sistema propriocettivo (anche con l’utilizzo di tavolette o meduse propriocettive) per creare artificialmente irregolarità nell’appoggio con l’obiettivo di adattarsi il più possibile a questa componente stressogena.
La presenza di pendenze e le irregolarità del terreno rendono ragione del fatto che i tempi siano più
lunghi che non per la corrispondente distanza percorsa su strada. E’ pertanto opportuno regolare l’alimentazione ed anche gli eventuali riserve di zucchero da portarsi.
In vista di una competizione tipo skyrace l’allenamento consigliabile è volto alla velocità massima aerobica lavorando in velocità, ma anche alla potenza aerobica. Esistono protocolli di allenamento per stimolare la VAM che possono cndurre ad ottenerne n incremento pari al 10-‐15% rispetto al valore iniziale dell’atleta. Possono essere utili allenamenti collinari alternati anche a trecking in cui si esercita la flessione della coscia sul bacino. Poiché le irregolarità dell’appoggio e le pendenze ci obbligano ad assumere posizioni eccentriche, è utile anche un potenziamento del core ed in particolare delle fasce laterali dell’addome.
Per quanto concerne l’attrezzatura, abbiamo già detto che è assolutamente consigliabile il kway. L’utilizzo dei bastoncini è controverso. Possono essere utili in alcuni tratti, ma fastidiosi in altri. Se si sceglie di usarli, ad ogni modo, devono essere provati prima di una competizione. E’ importante abituarsi a manovrarli con rapidità per poterli aprire quando occorre, eventualmente chiudere se fosse più comodo, ma soprattutto è importante gestire l’impugnatura in modo da non rischiare, in un eventuale scivolata, che il bastoncino trasferisca una forza eccessiva e brusca alla spalla potendo provocare anche seri danni al sistema osteo-articolare.
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