Matteo Simone
A volte la corsa chiama, è quello che
raccontano tanti maratoneti ed ultramaratoneti. Non c’è un percorso per
diventare un ultramaratoneta, si scopre per caso di essere portanti per le
lunghe distanze, di sperimentare piacere e benessere nel percorrere lunghi
percorsi, sentieri, strade a contatto con se stessi, con la natura, con gli
altri, a sfidare i propri limiti, a fare cose impensabili a scollegarsi dal corpo
per non sentire, per non essere fermati, per andare avanti, per sfidare
l’ignoto, il dolore.
Ecco cosa racconta Andrea
Mulas (1): “Fui pervaso da una consapevolezza. Dovevo correre. Una specie di
richiamo interiore mi chiedeva di farlo, per me e la mia Terra. Cominciai così
ad allenarmi”.
Molti maratoneti e
ultramaratoneti vengono giudicati matti da alcuni ma da altri sono stimati per
quello che fanno, per gli obiettivi che riescono a raggiungere.
I familiari inizialmente non approvano la passione di un ultramaratoneta
che percorre tanti chilometri su strade o sentieri in condizioni atmosferiche
difficili, a volte ai limiti della sopravvivenza, ma con il tempo comprendono
che l’atleta si dedica ad una passione che lo coinvolge e che gli permette di
sperimentare benessere.
Gli amici inizialmente considerano l’atleta fuori di
se, ai limiti della pazzia, ma con il tempo apprezzano gli aspetti del
carattere che gli permettono di sostenere allenamenti e competizioni di
lunghissima durata e di difficoltà elevatissima, diventando quasi fieri di
essere amici e raccontando in giro le gesta, così a volte sono considerate, dei
propri amici atleti, quasi a vantarsi di conoscere gente che fa l’impossibile,
extraterrestri.
Ecco alcune testimonianze. Andrea Mulas: “Mi hanno preso per pazzo all’inizio, poi hanno capito”.
Marco Stravato racconta: “Molti amici pensano che io sia matto, forse che
voglio dimostrare loro che sono più bravo, più forte, altri mi ammirano, in
pochi vogliono vivere queste esperienze con me, mia moglie mi sopporta, dice
sempre che non può impedirmi di correre, ma lo farebbe volentieri, a lei
piacerebbe che corressi di meno, magari 2, 3 volte a settimana per massimo un
ora, i miei figli sentono che spesso manco a casa, già lavoro tanto, poi quando
potrei stare con loro vado a correre, hanno ragione, forse dovrei lasciare le
ultra? Le maratone? Correre solo per star bene fisicamente? Forse dovrebbe
essere così, ma non lo è.” Ciro Di Palma: “All’inizio mi davano del pazzo.
Adesso sono i miei primi tifosi.” Ivan Cudin: “Inizialmente erano molto
preoccupati, ora mi
sostengono.” Giuseppe Mangione: “Ho 2 grandi tifosi i miei figli i miei amici
mi fanno sentire come l’uomo bionico, io la porto sul ridere facendo capire che
è una cosa che faccio volentieri con naturalezza basta allenarsi.” Aurelia Rocchi:
“Sono molto contenti i miei figli di quello che faccio e quando parto per fare
una ultra dico sempre, correrò per i miei figli perché loro mi danno tanta
forza. Amici sono quelli che condivido le grandi emozioni della corsa perché
corrono anche loro. “
(1)
http://notizie.tiscali.it/articoli/interviste/15/10/mulas-maratoneta-in-costume.html
22 ottobre 2015.
Matteo Simone
380-4337230 – 21163@tiscali.it
Nessun commento:
Posta un commento